RECENSICORNER #4 – L’ISOLA DEI CANI

NUOVA USCITA AL CINEMA PER WES ANDERSON CHE CI PARLA IN QUESTO FILM, TRAMITE I CANI, DI AMORE MA ANCHE DI POLITICA IN STEP MOTION.

 

Wes Andersoner esce nei cinema con il suo nuovo film: L’isola dei cani. Un film d’animazione realizzato in tecnica stop motion che forse ci vuole dire di più di quello che può sembrare.

 

TRAMA

In un florido passato…

A seguito di un sovraffollamento di cani la cittadina di Megasaki emana dal potere esecutivo del suo Daimyo, Kobayashi, un ordine restrittivo per tutti i cani della città. Allontanati sia randagi che domestici a forza dai padroni, si scatenano le furie dei cittadini. In particolare un ragazzino parte a spron battuto al suon della vendetta per recuperare il suo cane. Arrivato al confronto con il reggente della città lo uccide. Da quel giorno egli prese il nome di Samurai Bambino.

In un futuro vicino ad oggi….

Ad anni di distanza un Kobayashi è eletto come sindaco della città di Megasaki. Vecchio nostalgico del nome della famiglia indice come il suo antenato un emendamento che allontana tutti i cani della città. Essi sono incolpati di portare malattie e disagi e vengono destinati alla reclusione sull’isola della pattumiera al largo dei confini cittadini.

All’opposizione del partito Anti Cani c’è un professore e scienziato che dice di essere agli sgoccioli per la scoperta di un antidoto che possa curare tutte le malattie che vengono imputate a questi animali. Egli riceve un aspro dissenso e viene scacciato dalla folla.

Il sindaco propone il cane della propria residenza come primo caso di allontanamento e manda Spots in esilio sull’Isola dei Cani.

Il nipote del sindaco, Atari Kobayashi, è deciso ad andare a riprendersi il suo migliore amico e sequestrando un piccolo aeroplano parte alla ricerca dell’amico.

Una volta sull’isola incontra cinque cani: (Rex, Boss, King, Duke). L’ultimo Chief è un cane burbero e randagio a differenza dei primi e non ha nessuna intenzione di aiutare Atari.

I cinque esiliati portano il ragazzino da quella che reputano essere la gabbia del Cane 0. Arrivato lì Atari vede solo un mucchio di ossa e una targhetta che gli fanno pensare che si tratti proprio del suo cane. Deciso a ripartire aggiusta l’aero e si incammina verso casa.

Una volta raggiunto qualche metro di quota viene raggiunto da Rex che lo informa che il cane morto non è il suo Spots (スポッツ che in giapponese significa macchie) ma bensì un cane di nome Sport (スポーツ che in giapponese significa sport).

Intanto Chief, il cane più duro di tutti si lascia ammaliare da una cagnolina che prima dell’esilio era un cane da mostra e si dimostra per la prima volta anche vulnerabile.

Messo ai voti il ragazzo e i cani partono alla ricerca del cane scomparso.

Nel frattempo a Megasaki l’opposizione di Watanabe si ferma perché con un pretesto il professore viene sequestrato e ucciso con del Wasabi tossico. Questo incidente passa dai giornali come un suicidio.

La ricerca del cane prosegue con Atari e Chief che si dividono dal resto del gruppo. Rimanendo da soli i due si affezionano e il randagio si lascia addolcire dalle cure del ragazzino. Dopo una sessione di lavaggio, Atari scopre che Chief è uguale al suo cane ma solo con il naso di un altro colore. Capiscono dunque che Chief e Spots sono in qualche modo parenti.

Nel frattempo una ragazza Americana in vacanza studio in Giappone si appassiona alla causa ed è concentrata alla risoluzione del caso.

Atari e Chief riescono a ritrovare Spots che però racconta di come sia diventato il capogruppo di alcuni dei primi cani esiliati sull’isola e sul viaggio di ritorno verso la terra ferma fa investire Chief come cane ufficiale di Atari.

Il giorno della rielezione del sindaco, il partito anti cani vuole promuovere un’uccisione di massa dei cani rimasti sull’isola.

Tornato dal suo viaggi Atari con un discorso fa pentire il lontano Zio delle pessime decisioni che ha preso e fa revocare il decreto.

Un collaboratore nostalgico del sindaco lancia comunque il comando per la distruzione dei cani però fermato da un attacco hacker da parte di uno studente.

A seguito di questi avvenimenti Kobayashi finisce imprigionato assieme ai suoi scagnozzi e Atari diventa il nuovo sindaco, riammettendo tutti i cani curati dall’antidoto del professore scomparso.

 

CONCLUSIONI

Questo non è certo un film che piacerà a molti. E’ molto personale, intriso di ideologie politiche e risulta essere poco affine ai gusti occidentali del cinema in generale. Un amante dell’animazione in stop motion e della cultura giapponese come me però non può che apprezzare la riuscita di questo film. I colori, molto brillanti nei momenti più enfatici e felici della trama diventano un filo conduttore dell’animo diventando grigi e cupi nei momenti più tristi.

 

MUSICA

Ad accompagnare l’intera produzione ci sono dei temi musicali prodotti da percussioni per lo più, che riescono con grande impatto a sottolineare i momenti di maggiore pathos.

Nella pellicola sono rappresentati i tipici suonatori giapponesi in costume che suonano i tamburi rendendo la musica quasi partecipe della storia e non solo tenuta come sottofondo.

 

 

TRADUZIONE

In tutto il film le traduzioni dei dialoghi sono relative solo al mondo canino. Tutti i discorsi dei personaggi in carne ed ossa sono in lingua originale. È il regista che attraverso figure come interpreti e gobbi di traduzione rende interpretabile anche per il mondo extra-Giappone le parole pronunciate dai personaggi. Buona la riuscita di questo espediente che personalizza sempre di più la storia.

 

POLITICIZZATO

È indubbio che un film come questo abbia dei palesi riferimenti alla storia passata e presente della politica.

Il tema della reclusione dei personaggi scomodi è un tema ricorsivo nella storia del genere umano. Qui la produzione ha convogliato la paura del personaggio scomodo nell’animalizzazione canina ma riesce facile la trasposizione al mondo umano. Risulta dunque oltre che una storia di speranza e amore verso il prossimo pure come manifesto di riflessione atto a sensibilizzare il mondo verso gli errori del nostro passato.

 

Con questo film Wes Anderson rimette in auge la sua proverbiale “violenza” scenografica e fotografica che diventano parti fondamentali della narrazione e sembra trovare un format che calza a pennello con le sue idee.

 

Ben fatto Wes, Voto 7,5/10.

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