Il Primo Re: travolgente violenza in un mondo regolato da una ferina lotta per la sopravvivenza – Recensione

Non è una serata come le altre, me ne rendo conto.
Bisogna essere preparati a gestire emotivamente la cruda brutalità di un film che dalla prima inquadratura si percepisce per quello che davvero è, epico e tragico al tempo stesso.
La travolgente violenza dell’esondazione del Tevere trascina immediatamente lo spettatore in un mondo regolato da una ferina lotta per la sopravvivenza in una natura feroce ed avvolto nel cupo mistero della superstizione.

Lontano dal cliché del tradizionale peplum alla Steve Reeves tanto quanto dall’adrenalinico Apocalypto di Mel Gibson, la nuova opera di Matteo Rovere, impreziosita dalla struggente fotografia naturale di Daniele Ciprì, ripercorre la leggendaria vicenda di Romolo, Alessio Apice, e Remo, Alessandro Borghi, fratelli uniti da un legame così forte da spezzarsi solo di fronte alla morte.

Figli di Rea Silvia, discendenti di Marte, perseguitati dalla gente di Alba, affronteranno con coraggio inaudito l’inospitale foresta per conquistare la libertà ed una terra che possa essere solo loro in riva al Tevere, dando origine al più grande impero che l’uomo ricordi.

Una sfida eroica agli Dei…

condotta in gran parte da Remo con violenza spaventosa grazie ad una fisicità sovrannaturale e ad una leadership innata, ma vinta infine dal più riflessivo Romolo capace di riconoscere e rispettare l’incontrovertibilità del destino e di divenire guida di un popolo e non tiranno di un gruppo di disperati fuggiaschi divorati dalla paura della morte.

Girato nel Lazio selvaggio del Bosco del Foglino e corredato solo da brevi dialoghi in un proto-latino sottotitolato che ne potenzia la cifra epica, prodotto con un budget importante per il cinema italiano di 8.000.000€, ma certamente contenuto se pensiamo ai 135 del pluripremiato The Revenant di Inarritu, Il primo Re fa leva sulla credibile energia e sul carisma di Alessandro Borghi per gran parte del film e sulla capacità di Alessio Apice, al tempo stesso più impegnato a guarire le laceranti ferite, di non perdere una propria identità intellettuale durante il percorso e di saperla ritrovare nel momento decisivo.

Un’esperienza coinvolgente in cui il cinema d’autore sconfina in un contesto più spettacolare, forse unico nel panorama del cinema attuale.

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