Wolfenstein: Youngblood – Recensione

Le gemelle Blazkowicz sono arrivate, saranno all’altezza del padre?

Nonostante Wolfenstein: Youngblood sia uno spin-off dai valori produttivi inferiori rispetto ai capitoli principali, il nostro interesse nei suoi confronti era decisamente elevato. Dopotutto, si tratta del primo titolo della serie ad avere una modalità cooperativa per due giocatori che può perfino vantare alcuni elementi GDR. Se poi ci aggiungiamo la collaborazione con Arkane Studios Lione, team che ci ha donato quelle perle chiamate Dishonored, capirete che le nostre aspettative non potevano che essere alte.

Quindi, immaginatevi il gunplay già rodato di Wolfenstein II coadiuvato dal level design sopraffino made in Arkane, che cosa sarebbe potuto andare storto? Se dobbiamo essere onesti, il risultato finale si è rivelato piuttosto diverso da come ce lo eravamo immaginati, ma procediamo con ordine.

Attenzione, contiene piccoli spoiler.

Alla ricerca di Blazko

Proprio come era stato anticipato dagli sviluppatori, Wolfenstein: Youngblood è un gioco che si focalizza sul gameplay piuttosto che sulla storia, con i toni di quest’ultima decisamente più leggeri rispetto ai capitoli principali.

William Blazkowicz è scomparso improvvisamente e così, le due figlie gemelle – Jessica e Sophia – decidono di partire alla volta di Parigi seguendo le sue tracce. L’America è ormai salva, libera dall’egemonia nazista, ma le cose non sono affatto cambiate in Europa, dove il regime mantiene ancora un discreto potere.

Le due giovani entrano dunque in contatto con la resistenza parigina, che si nasconde nelle catacombe della città. Qui viene chiesto loro di dare un contributo alla causa in cambio di alcune informazioni sul padre, e le due giovani accettano senza indugio.

Pur non arrivando al livello di certe scene esagerate viste in The New Colossus, Wolfenstein: Youngblood si prende (in buona parte) poco sul serio per via delle gemelle che, essendo giovani e spericolate, danno spesso il via a siparietti dai risvolti comici. Ad ogni modo, protagoniste a parte – che sembrano perse nel loro mondo – i personaggi coinvolti non brillano particolarmente dato che appaiono in pochissime occasioni. Il risultato è comunque godibile considerando che l’elemento principale di questa produzione resta il gameplay.

Cose da GDR

Proprio come nei capitoli principali, Youngblood può contare su un hub – le Catacombe – in cui è possibile accettare missioni e gestire il personaggio in tranquillità. Data la natura cooperativa del titolo infatti non è presente la pausa e la base della resistenza rappresenta l’unico luogo sicuro del gioco.

Ad ogni modo, nelle Catacombe è possibile interagire con i membri della resistenza e accettare diverse missioni secondarie che stavolta sono ben realizzate. Queste sono strutturate in più fasi: non si tratta solo della classica caccia al bersaglio, ma di incarichi dotati di una maggiore complessità, che spesso richiedono la soddisfazione di più requisiti per essere portati a termine. Inutile dire che il loro completamento è ben remunerativo, con buone somme di denaro ed esperienza.

Passiamo ora alle gemelle, punto focale dell’intera produzione. La personalizzazione riguarda gli elementi estetici, come le skin per l’armatura potenziata o quelli più pratici, come i segnagli d’intesa o i rami abilità. Per quanto riguarda i primi, si tratta di gesti con un cooldown che conferiscono diversi buff (powerup), dal ripristino della salute fino a brevi momenti di invulnerabilità.

Il gioco mette a disposizione diversi segnali d’intesa, ma molti di essi vanno acquistati con la moneta di gioco prima di poter essere utilizzati. Il consiglio è comunque quello di provarne il più possibile, dato che sono estremamente utili e possono perfino risollevare le sorti di una partita.

I rami abilità sono invece divisi in tre categorie: Mente, Corpo e Potenza, ciascuno dei quali include skill suddivise su più livelli.

Il primo impatto con le gemelle può essere tuttavia spiazzante, dato che le loro capacità iniziali sono estremamente inferiori a quelle di BJ. L’esperienza si accumula velocemente e i level-up si susseguono in fretta, ma durante le prime ore della partita si presentano svariati limiti. Ad esempio, non è possibile utilizzare armi pesanti o impugnare due bocche da fuoco (leggere) contemporaneamente e questa cosa può far storcere il naso.

Nonostante le sorelle siano alle prime armi, ed è quindi logico che non possiedano certe competenze, sarebbe stato piacevole partire con qualche marcia in più. Ci saremmo dunque aspettati una gestione differente dei rami abilità, più in linea con i capitoli precedenti, ma si tratta comunque di una scelta comprensibile.

Ottima invece la personalizzazione delle armi, che risulta più complessa che in passato, con la possibilità di migliorare diversi parametri in base alle proprie preferenze.

Lo spirito della cooperazione

Wolfenstein: Youngblood è un titolo pensato per essere goduto in cooperativa, meglio se in compagnia di un amico, con tanto di chat vocale. Tuttavia, se non doveste avere amici con cui condividere questa avventura, potrete venire affiancati da una I.A. tutto sommato accettabile.

Durante la nostra prova Soph – la sorella controllata dall’I.A. – si è comportata in modo abbastanza sveglio fornendo un buon supporto in termini di danni. Si sono verificati però alcuni problemi durante le rianimazioni e in alcune occasioni, abbiamo perso una vita o peggio, ci siamo beccati un game over. Certe volte, Soph andava in palla e si immobilizzava, ignorandoci completamente. In altri casi invece, intenta a pulire il campo di battaglia, si dimenticava di noi, dando la precedenza al nemico.

Le due gemelle infatti, pur mantenendo una barra d’energia individuale, condividono un certo numero di vite. Nel momento in cui la propria salute scende a zero, c’è un breve lasso di tempo in cui si può venire rianimati. Se ciò non accade si perde una vita e la perdita di tutte le vite porta al game over. Capirete dunque che il momento della rianimazione è estremamente importante e se l’I.A. dà problemi proprio in quegli istanti, vuol dire che è da rivedere.

Il consiglio è quindi di giocare a Wolfenstein: Youngblood in cooperativa, per di più la Deluxe Edition contiene il buddy pass, che consente di invitare un amico nella propria partita, con l’unico limite (su console) che questo non otterrà gli achievement. Si tratta comunque di un ottimo modo per godere al meglio di questa esperienza.

Una città da liberare…

Passiamo ora allo shooting, che non si discosta troppo da quanto visto in Wolfenstein II, ma che porta alcune modifiche. Resta quindi invariato il feeling delle armi, che è lo stesso a cui ci ha abituato MachineGames e l’unica grossa novità risiede nei nemici.

Molti di essi sono infatti dotati di scudi, che si dividono in due categorie, ciascuno con un’icona differente. Per eliminarli in fretta è necessario utilizzare delle armi che possiedono la stessa icona, ma questa meccanica non ci ha convinto del tutto. Concettualmente quest’idea non sarebbe neanche male, purtroppo, considerati anche i limiti delle gemelle, in certe occasioni gli scontri si fanno inutilmente ostici. Una scarsa potenza di fuoco o anche la mancanza di munizioni apposite, fanno sì che alcuni scontri – soprattutto con i nemici più corazzati – finiscano per protrarsi più del dovuto.

Anche questa volta, uno degli elementi più deboli della produzione MachineGames è dato dal bilanciamento, che andrebbe rivisto completamente. Alcuni nemici vengono letteralmente sciolti, altri invece sono troppo resistenti e Youngblood più che mai, sembra voler spingere l’approccio stealth.

Abilità come l’invisibilità e armi da lancio dalla potenza spropositata ci hanno fatto chiedere più di una volta quali siano le intenzioni degli sviluppatori, realizzare un titolo stealth magari? Sta di fatto che nonostante l’ottimo gunplay, durante le sparatorie Wolfenstein: Youngblood non ci ha divertito come avrebbe dovuto. Aggiungeteci un’intelligenza artificiale non proprio brillante ed il gioco è fatto.

e da ammirare!

Discorso totalmente differente invece per il level design, il migliore mai realizzato in un titolo di MachineGames. Il tocco di Arkane si sente in ogni angolo di Parigi, grazie a percorsi alternativi e una complessità strutturale incredibile. I quattro distretti della città sono tutti ben realizzati e riservano non poche sorprese, i fan di Dishonored si sentiranno a casa.

Purtroppo però, i distretti non sono grandissimi e dopo un po’ il backtracking inizia a farsi sentire a causa delle missioni secondarie. È un vero peccato che lo stupore iniziale si perda dopo le prime ore di gioco e questo problema sarebbe stato arginabile con quartieri più grandi o semplicemente con aree dedicate alle suddette quest.

Direzione artistica e comparto tecnico

A livello artistico, Wolfenstein: Youngblood si attesta su buoni livelli, con le basi nemiche dall’aspetto familiare e una Parigi ricca di fascino. Gli anni ’80 ci sono, ma non si fanno sentire quanto dovrebbero, a parte una serie di collezionabili e qualche canzone, non lasciano il segno. Un vero peccato.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, su PlayStation 4, nonostante una resa visiva di tutto rispetto, i singhiozzi non mancano. Primo tra tutti il frame rate, che seppur vada a sessanta fotogrammi, nelle situazioni più movimentate cala in modo sostanzioso. Anche le cut-scenes, che pur non essendo moltissime, sono risultate di una qualità davvero altalenante, con una resa dei personaggi discreta e svariati singhiozzi.

Buoni invece sia il doppiaggio in italiano che la colonna sonora, in particolare quest’ultima tra gruppi “parodici” anni’80 e tracce “da battaglia”, risulta particolarmente godibile.

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L’idea di un Wolfenstein incentrato sulla cooperativa con buona enfasi sul gameplay ci stuzzicava parecchio. Peccato che Wolfenstein: Youngblood non esprima appieno il suo potenziale. Nel corso della nostra prova (durata dodici ore con un 55% di completamento totale), non abbiamo potuto fare a meno di notare come il titolo avrebbe meritato una maggiore rifinitura sotto diversi aspetti. L’ottimo gameplay e il level design sopraffino si contrappongono purtroppo ad un’IA nemica e un bilanciamento non proprio eccezionali, insieme ad alcune scelte di design discutibili. Si tratta tuttavia del primo progetto di questa entità da parte di MachineGames e ci sono ancora dei margini di miglioramento. Considerando anche i valori produttivi, possiamo ritenere che Youngblood sia un titolo di buon livello, seppur con qualche spigolo di troppo. Consigliato ai fan della saga e a tutti coloro che desiderano giocare ad un fps in compagnia di un amico.Wolfenstein: Youngblood - Recensione