Perché Richard Jewell fu due volte un eroe?

La vera storia di Richard Jewell, e più precisamente i fatti che lo coinvolsero nell’attentato al Centennial Park il 27 luglio 1996 durante le Olimpiadi di Atlanta, rappresentano la chiave di lettura per molte situazioni che ancora oggi vengono troppo spesso, e troppo velocemente, mistificate o interpretate a favore di teorie e supposizioni senza fondamento. La falsa notizia che ha trasformato questo cittadino americano da eroe a (falso) terrorista oggi prenderebbe facilmente l’etichetta di fake news.

Quello che racconta il film di Clint Eastwood (Richard Jewell) in uscita nelle sale italiane il 16 gennaio non è altro che la verità su un caso che ha distrutto la vita di un uomo e della sua famiglia, proprio nel momento in cui il suo coraggio e il suo amore per la nazione raggiunsero il culmine. Proprio per colpa di una fake news (clicca qui per leggere la nostra recensione del film).

Dopo aver scoperto la presenza di un ordigno al Centennial Park salvando la vita a molte persone presenti, Richard Jewell fu sospettato di essere lui stesso l’attentatore. Il processo peggiore fu quello mediatico che a causa di una fuga di notizie dal FBI puntò il dito contro chi era più debole in quel momento, più facilmente attaccabile. Oggi molto spesso avviene la stessa cosa con una frequenza spaventosamente più alta attraverso l’uso a dir poco scellerato dell’eco che possono amplificare i social network.

The Ballad of Richard Jewell

Oggi non abbiamo un Richard Jewell, abbiamo migliaia di Richard Jewell, che soffrono situazioni totalmente opposte non solo a quello che si meriterebbero ma anche lontanissime dal rispetto dell’uomo e della sua natura. Mi riferisco al bullismo, per esempio, e dei danni che può provocare per sempre nella vita di un soggetto fragile.

Quello che avvenne nei giorni a seguire l’attentato del 27 luglio 1996 non fu solo l’eco di una fake news, o di una notizia divulgata senza prove a sostegno della tesi in essa contenuta, ma fu un accanimento contro un uomo che amava davvero il suo lavoro e la sua nazione. Un sentimento semplice e raro allo stesso tempo, che fu calpestato dalla ricerca dello scoop o forse della necessità di avere un capro espiatorio che tranquillizzasse l’opinione pubblica dando una sensazione di sicurezza per i giorni successivi all’evento. La mancanza di un colpevole nelle mani del FBI avrebbe potuto compromettere la partecipazione di molte persone alle Olimpiadi.

Richard Jewell non dovette quindi solo rischiare la propria vita per salvare quella di molte persone, ma senza volerlo fu costretto a salvare anche la manifestazione olimpionica pagando tutto a caro prezzo, ovvero la sua dignità e quella della sua famiglia.

Troppo spesso ci dimentichiamo, o non diamo peso, alle conseguenze delle parole e dei giudizi che esprimiamo nei confronti delle persone. La storia che Clint Eastwood porta all’attenzione del mondo, è l’esempio lampate di come i media (oggi anche e sopratutto i social media) possano far esplodere giudizi in grado di colpire molte persone ferendole in modo atroce dove fa più male.

Richard Jewell vinse due grandi battaglie in quell’ormai lontano 1996. Quella contro il terrorismo, e quella contro il terrorismo mediatico.

CORRELATI