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Il Metodo Kominsky 3: la recensione dell’ultima stagione della serie Netflix con protagonista Michael Douglas

La terza ed ultima stagione della serie “Il Metodo Kominsky” si apre con un avvenimento triste per Sandy Kominsky (Michael Douglas): la morte del suo più caro amico, nonchè agente, Norman(interpretato da Alan Arkin, che ha lasciato la serie per motivi personali) metterà alla prova la vita di Sandy e di chi gli sta intorno, fra eredità inaspettate e matrimoni imprevedibili. Fra le guest star di questa stagione troviamo Morgan Freeman e il regista Barry Levinson nei panni di loro stessi.

Una morte inaspettata

Nelle prime due stagioni della serie, abbiamo seguito le vicende di Sandy e del suo amico Norman, entrambi amici da moltissimo tempo, legati dalle proprie carriere e collaborazioni nel mondo cinematografico; tuttavia, questa terza stagione si prende il rischio di continuare la propria tenuta solamente con Sandy, ed il rischio che potesse uscirne, soprattutto nella stagione finale, un prodotto non all’altezza delle aspettative era molto alto, ma fortunatamente, la serie creata da Chuck Lorre (Due Uomini e Mezzo, The Big Bang Theory) riesce a mantenere una sua identità, grazie ad una regia adatta al contesto e soprattutto che si prende i suoi ritmi, narrando appunto di vecchie glorie ormai non più in giovane età, ma entriamo più nel dettaglio…

Ciak, azione!

Per quanto riguarda il comparto tecnico della serie, la regia si mantiene su alti livelli, dimostrando di saper rappresentare la calma con cui si svolgono gli eventi a schermo in modo sapiente e soprattutto genuino, senza forzature o movimenti di camera improvvisati. Le scenografie, la fotografie e tutto quello che ne concerne sono sempre di buon livello, e da una simil-sitcom di Chuck Lorre che è più una serie dramedy con punte di umorismo intelligente, sono graditissime sorprese, e confermano quanto di buono visto nelle stagioni precedenti.

Lo script è parte integrante di qualsiasi opera.

Per quanto riguarda la sceneggiatura, siamo sui livelli delle precedenti stagioni: Chuck Lorre ed il suo team dimostrano di saper scrivere con maturità e sanno toccare le giuste corde, senza eccedere. Piccolo appunto per i soli 6 episodi, troppo pochi per la conclusione della serie, si ha l’impressione che molte cose siano state scritte e trasposte in modo un pò frettoloso(soprattutto nel finale di serie), ma non si ha mai un vero e proprio senso di accelerazione, bensì una minor accortezza sui fatti trasposti , per il resto tutto va per come deve andare.

La sigla della serie.

Acting!

Rimasto solo, Michael Douglas dimostra e conferma le sue doti nell’interpretare l’attore ed il maestro di recitazione Sandy Kominsky, rappresentandolo al suo meglio, evidenziandone la lucidità e gli acciacchi di una vita vissuta, ma che ha ancora molto da dare in fatto ad esperienze: soprattutto in questa stagione, Sandy non è mai stato più solo, ma pian piano riuscirà a superare il grande ostacolo cui si è posto davanti al suo cammino, sebbene sia una persona anziana. Anche i personaggi secondari non sono da meno, ed apprezzerete anche i cameo di Freeman e Levinson, ben contestualizzati e mai fuori luogo, ma diciamoci la verità, il personaggio di Arkin potrebbe mancarvi.

Finale…

Concludendo, la terza ed ultima stagione de “Il Metodo Kominsky” è un gradito finale di serie che non deluderà il suo pubblico: anche se l’assenza di Alan Arkin si farà sentire, Michael Douglas porta in scena tutto il suo talento trasposto nell’interpretazione di Sandy Kominsky. La stagione finale della serie si chiude con un finale più che buono, svolgendosi forse con un pò di frettolosità nelle trame principali e secondarie, dati i pochi episodi a disposizione, ma “Il Metodo Kominsky” è riuscita nel suo intento: rappresentare la vita di un attore e di un agente del mondo dello spettacolo ormai anziani e “vissuti” in modo naturale, ironico e spensierato. Chapeau!

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