The Last of Us: Parte 1 – La recensione

Il remake del capolavoro di Naughty Dog vale quanto l'originale?

Se mi dicessero “prendi un capolavoro e rifallo, solo un po’ meglio“, onestamente, sarei in difficoltà. Chiaramente, però, per chi è avvezzo a sfornarne, di capolavori, il compito è forse un po’ più semplice, nonostante la complessità del tema. Di che tema parliamo? Del videoludo, dei videogiochi, di un videogioco, della storia di Joel ed Ellie, del viaggio, del tortuoso archetipo dell’odissea in mezzo ad una pandemia (ben più letale e malevola del “nostro” Covid). Parliamo di TLOU, del “primo pezzo” dell’avventura della “strana coppia”. Oggi, signore e signori, vi parliamo – ancora, nuovamente, sontuosamente – di The Last of Us: Parte 1. Ancora? Sì. Nuovamente? Sì. Sontuosamente? Sì, abbastanza. Bentornati nel mondo di Joel ed Ellie. Vi presentiamo The Last of Us: Parte 1: la recensione.

Piccola specifica a margine: in The Last of Us: Parte 1, Naughty Dog ha incluso anche il DLC (celeberrimo) dal titolo Left Behind, dove si ripercorrono i passi di Ellie e si approfondisce il cammino ed il percorso della protagonista della storia. Druckmann e soci avrebbero potuto integrare totalmente il DLC all’interno del gioco, ma – per precisa scelta – questo non è stato fatto. Il motivo è semplice: la fedeltà del racconto in quanto tale, non doveva in alcun modo essere modificata, ma solo elevata, migliorata, innalzata al massimo.

The Last of Us: Parte 1, non è ciò che fai, ma come lo fai

Ora, partiamo da un presupposto (lecito, ma incidente): chiaramente, il remake del primo capitolo non era assolutamente richiesto né necessario. Non per cattiveria – e ci mancherebbe pure! – quanto perché dopo la remastered, che già si fece apprezzare in modo notevole, il compito di The Last of Us: Parte 1 era già abbondantemente assolto. Il remake, su PS5, con l’engine di The Last of Us: Parte 2, non era fondamentale, ma dobbiamo essere sinceri: spacca di brutto.

Al netto del piacere di rigiocare il primo The Last of Us con un comparto tecnico completamente rinnovato (e non “solo” con una remastered), come ben sappiamo – e potete immaginare – tutto ciò che scorre su schermo è assolutamente asservito al racconto. Così come è stato la prima volta, così è oggi. Il nucleo del titolo è proprio questo: Naughty Dog ha preso il primo TLOU, l’ha spogliato e rivestito con l’abito buono, quello del sequel, innestando dinamiche di gameplay che rinfrescano senza snaturare e rimodellando tutto il comparto tecnico.

Un rinnovato piacere, non esente da difetti, ma straripante

Tutto ciò che abbiamo sempre apprezzato in ambo le parti del gioco (fa quasi strano chiamarlo così, pensateci) è assolutamente vivo e vibrante in questo The Last of Us: Parte 1. L’obiettivo di ND era quello di non rivoluzionare alcunché, per non modificare l’esperienza del giocatore, facendo un lavoro intenso e durissimo (che giustificasse, in soldoni, l’esborso di una somma “da gioco nuovo”). L’obiettivo, oggi possiamo dirlo, è riuscito quasi del tutto. Dobbiamo usare il termine “quasi”, perché la somma è comunque importante, e per chi ha giocato l’originario e magari anche la remastered potrebbero essere parecchi; nonostante questo, il lavoro fatto sulla struttura di base è encomiabile, specialmente a livello tecnico: Joel ed Ellie sono più impattanti che mai, trasmettono empatia, vivacità, ci fanno sorridere, intristire, ingrigire, emozionare.

Ciò che viene aggiunto in The Last of Us: Parte 1 (mutuato dal fortunatissimo ed incensato secondo episodio) è anche il live crafting, il quale va a modificare in modo dinamico il gameplay, oltre che gli scontri. Non solo: l’IA è stata rifinita e rivista, sulla base di quella (molto efficace) di The Last of Us: Parte 2, facendoci soffrire molto di più di quanto ricordavamo di dover fare. Nemmeno da menzionare, invece, il maquillage estetico e sonoro applicato da ND, che eleva l’inizio delle peripezie di Joel ed Ellie ad un livello assolutamente superiore. Insomma, nonostante alcune meccaniche e dinamiche di gioco non siano al top come nel sequel, The Last of Us: Parte 1 è sicuramente alla sua massima potenza.

The Last of Us: Parte 1 alla massima potenza

Tirando le somme, anche se di TLOU si potrebbe parlare per pagine intere, il giudizio è estremamente positivo. La bravura di Naughty Dog è – ancora una volta – certificata dallo splendido lavoro, tanto quanto era difficile. L’obiettivo era sicuramente quello di provare a rendere The Last of Us: Parte 1 un capolavoro rinfrescato, con un modo moderno di raccontare, di raccontarsi. Ci riesce, ci riesce fottutamente bene, mettendoci davanti tutti gli eventi che già conoscevamo, ma che ci colpiscono ancora una volta con efficacia, con rinnovato vigore. Aver giocato il sequel e tornare “indietro” sui nostri passi, con questo mix di freschezza, ci ha fatto emozionare, nuovamente. Sapere come andranno avanti i rapporti tra i due protagonisti, cosa accadrà adesso, dopo e durante, averne memoria, è sentirsi profondamente coinvolti, totalmente dentro l’avventura.

The Last of Us: Parte 1 è l’esperienza maxima di The Last of Us. Se qualcuno non ha mai giocato la saga, deve assolutamente iniziare con questo remake e fiondarsi subito sul sequel; così come anche a chi non ha giocato la remastered, suggerisco di provare questo e poi rifare il secondo capitolo, per vivere l’avventura al top, ed innamorarsi – di nuovo – di questi due, della meravigliosa storia, così straordinariamente raccontata. The Last of Us: Parte 1 ci fa ricominciare ad emozionarci, a vibrare, ad annaspare in un mare di ricordi, così vividamente splendidi e così intensamente drammatici che chiamarlo “videogioco” sembra davvero un timido insulto.

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