Eternity – Rovine metaforiche visitate da turisti

Continua la storia di Sant’Alceste, nome d’arte di Alceste Santacroce giornalista di gossip, in voga in un passato non troppo lontano, per il settimanale L’infinito. Un personaggio cinico, distaccato dalla realtà. L’esponente perfetto di una società fatta di illusioni, di astri che oggi sono sotto le luci della ribalta, e domani cadono nell’oblio.

Continua la narrazione di Alessandro Bilotta nella sua Roma in bilico tra la nostalgia del classico-vintage e il volersi proiettare verso un futuro ipertecnologico ed alienante, allegoria della nostra modernità. E continua attraverso il tratti di Matteo Mosca. Un binomio, quindi, già apprezzato su Mercurio Loi, altra creatura di Bilotta cui avevamo fatto accenno qui.

Alceste è spettatore in questo volume della parabola discendente di Tito Forte, presentatore televisivo nazionalpopolare che trova tra le pagine la sua rovina. Presentatore stimato, tutto d’un pezzo, di una morale ed una vita apparentemente irreprensibili: “Quarant’anni con la stessa moglie. La mia integrità”. Che sia tutta una questione di apparenza è chiaro fin dalla prima tavola in cui compare Tito:

Un chiaro rimando al concetto di maschera del teatro greco poi ripreso da Pirandello nel XIX secolo. Sottolineato dalla citazione in apertura di Kafka: “Mi sono vergognato di me stesso quando ho capiro che la vita è una festa in maschera e ho partecipato con la mia vera faccia.”

L’incontro nello studio televisivo di Tito tra un cardinale del Vaticano e Bonadonna (un Fabrizio Corona romanzato) e la rissa che prende vita sotto gli occhi increduli del conduttore televisivo, darà il via ad una serie di sfortunati eventi che sconvolgeranno la vita di Tito, sotto gli occhi impassibili di Alceste.

Eventi che Alceste probabilmente già immagina avverranno, considerando il pezzo del brano La voglia, la pazzia… di Ornella Vanoni che si trova a canticchiare tra se e se subito dopo l’evento:

L’esclusione da una festa del nostro Dandy offre lo spunto per affrontare, con la sequenza di pag.28, un forte tema di attualità: quello degli Hikikomori, il fenomeno in forte crescita che vede soggetti chiudersi nelle proprie stanze e non uscirne mai. Vittima di questo fenomeno è proprio il figlio dei proprietari dell’Infinito, giornale dove lavora Alceste, che ora deve affrontare questa nuova crisi, dopo quella editoriale che gli vede sottratta la sua rubrica.

Alceste, che apparentemente sembra coinvolto emotivamente nella vicenda di Tito, in realtà ne è sempre distaccato, restando sempre osservatore delle vicende che si susseguono.

L’utilizzo della dualità di cromie caldo/freddo continua sulla scia del volume precedente contrapponendo le sequenze intimistiche a quelle più distaccate dal punto di vista di Alceste. Così come le tavole estremamente verticali che portano, anche graficamente, alla decadenza dei comprimari di questa storia.

Il personaggio di Alceste eccelle anche in questa fase, rivelandosi uno dei personaggi più interessanti per caratterizzazione scelta. La Roma di Bilotta prende sempre più forma, le pedine che vi si muovono sono ben strutturate, le dinamiche che ruotano attorno al protagonista davvero interessanti.

Qualcosa riuscirà a scalfire l’animo di Alceste? Non ci resta che aspettare riposta nelle prossime storie.

Bilotta ed il suo Alceste continuano ad incantare, immersi in una Roma alienante protesa all'eternità ma pronta a trascinarti nel fango.

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