Il cinema italiano è in crisi, ma le istituzioni si autocompiacciono

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Nonostante i cerimoniali e le dirompenti lodi mediatiche, il cinema italiano è in crisi: lo si capisce principalmente dalle mancanze relative alle dinamiche distributive e dagli incassi esili al botteghino. Eventi come la Mostra del Cinema di Venezia o la Festa del Cinema di Roma rappresentano indubbiamente una vetrina di grande prestigio per i film del nostro Paese – così come il Festival di Cannes, che ogni anno ospita alcune delle pellicole italiane più importanti -, ma non bastano a risollevare un mercato che dietro la facciata splendente delle premiazioni e dei tappeti rossi nasconde tutte le proprie lacune e i propri inutili pregiudizi.

Specchio specchio delle mie brame, qual è la più vuota delle sale?

In cima al botteghino continuano ad esserci quasi soltanto i film americani di cassetta, mentre quelli italiani – persino le opere di maggiore impatto popolare – incassano poco o niente. L’eco mediatica generata dai Festival – luoghi dove sicuramente si percepisce una grande energia, relegata però allo specifico spazio/tempo della cerimonia e quindi autoreferenziale – non riesce ad incrementare le presenze in sala, l’esposizione di alcuni nomi di spicco in veste promozionale non invoglia affatto il pubblico a pagare il biglietto, eppure da parte di una fetta importante del giornalismo e delle istituzioni – cinematografiche e non – emerge un inspiegabile entusiasmo che si traduce in autocompiacimento.

Ognuno si sente appagato per via del posto che occupa all’interno di un circolo elitario chiuso in se stesso, e quasi nessuno si preoccupa di aprire nuove strade di comunicazione. Il risultato di questo corto circuito è un totale scollamento con i gusti e le esigenze degli spettatori, che la maggior parte delle volte si trovano all’oscuro rispetto all’esistenza degli eventi cinematografici più significativi e soprattutto lontani anni luce dagli stimoli che dovrebbero spingerli a scegliere la modalità di fruizione della sala cinematografica. Accade dunque che, allo stesso modo delle recenti questioni politiche, vi sia una netta separazione tra il racconto che la giostra mediatica propina e la realtà dei fatti, che si tocca con mano semplicemente informandosi o vivendo con sguardo partecipato le contraddizioni del nostro cinema.

I problemi principali: qualità e distribuzione

Appare evidente che uno dei problemi risieda anche nella qualità dell’offerta cinematografica, troppo spesso non all’altezza di ciò che suggerisce la nostra grandissima tradizione. Non aiuta la ridondanza produttiva, a causa della quale il cinema di genere è stato quasi del tutto archiviato, e quei pochi tentativi non ricevono il giusto supporto. Trattasi però unicamente di pigrizia e paura di azzardare, inspiegabile considerando che i generi di film che da anni in Italia non vengono percorsi – l’horror e il thriller psicologico su tutti – sono in realtà i più visti in tutto il mondo e anche qui da noi, solo che dobbiamo accontentarci di guardare senza produrli. Ne consegue che la commedia – leggera o drammatica che sia – cannibalizzi il mercato, ma senza avere la carica sovversiva o l’attrattiva popolare di quella storica all’italiana.

Le opere e gli autori di talento, in realtà, vengono alla luce, che siano nomi importanti già consolidati o emergenti in ascesa, ciò che manca è un’attività distributiva che renda loro giustizia: gli esordi, la maggior parte della volte, ottengono una buona risposta di critica e pubblico all’interno dei Festival, ma poi finiscono per registrare incassi minimi nelle sale nazionali e una promozione quasi nulla che non scuote gli animi del grande pubblico; le uscite degli autori più conosciuti possono vantare un bacino d’utenza di gran lunga più esteso, tuttavia è difficile assistere ad una distribuzione capillare che permetta a tutti i cittadini di fruirne la visione – questo problema sussiste in egual misura nelle metropoli, nei paesini e nei piccoli centri urbani – e garantire un incasso realmente sostanzioso.

L’istinto militante e la rivoluzione

Nella natura stessa del cinema – e dell’arte in generale – dovrebbe essere presente una spinta vitale rivoluzionaria che esuli dagli ostacoli industriali e superi i confini della creatività creando un ponte diretto con l’osservatore/ascoltatore. Nello specifico, chi milita all’interno del settore cinematografico dovrebbe prendere una forte posizione politica – e non partitica, come invece avviene sempre più spesso -, nuotare contro corrente senza tenere conto delle ingerenze esterne e far sentire il peso delle proprie idee.

Riacquistare il contatto con gli spettatori significa innanzitutto restituire al cinema la sua dimensione eversiva e allo stesso tempo intima ed emotiva, è fondamentale dare vita ad un’atmosfera per cui le proiezioni e gli incontri in sala possano essere spogliati della formalità e dell’avarizia istituzionale che ne limitano l’espansione e diventare un’opportunità unica per creare legami umani ed aggregazione culturale, scoprire nuovi linguaggi e (ri)unirsi per discuterne insieme. Associazioni come quella del Filmstudio di Roma – dagli anni Settanta avanguardia nella promozione e diffusione del cinema di qualità e tuttora luogo di riferimento della Capitale – rappresentano il vero punto di partenza per questa necessaria rivoluzione. Un ruolo di enorme responsabilità è affidato dunque anche agli esercenti, che hanno l’arduo compito di dare voce alle espressioni artistiche più impetuose facendo re-innamorare il pubblico della cultura e della magia del cinema.

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