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Asteroid City, la recensione: Wes Anderson, autore anti pirandelliano in cerca di personaggi, firma il suo disperato 8 e 1/2

Ultimamente lo stanno sperimentando tanti registi, e lui non sfugge alla “regola”. Eppure, rispetto alle altre intime (auto) confessioni, quella di Wes Anderson sembra essere la più disperata e il suo grido di aiuto quello più necessario rispetto all’attuale condizione artistica in cui (suo malgrado?) si trova. Ecco dunque Asteroid City, film permeato di una dichiarata finzione scenica, nonché di una voluta ed estenuante staticità, a rappresentare lo stallo creativo di un cineasta che, insieme alle storie che racconta, è consapevole di star girando a vuoto.

Anderson, autore in cerca di personaggi – in questo senso potremmo definirlo anti pirandelliano -, o meglio, in cerca di personaggi con un’anima pulsante che valga la pena raccontare, ne sceglie numerosi per popolare questo film, ma sono tutti disorientati e senza uno scopo preciso – che forse rimane ignoto, come quello degli esseri umani sulla Terra -, un po’ come lui mentre sceglie di metterli in scena. Il suo alter ego più evidente è dunque il protagonista interpretato da Jason Schwartzman, fotografo compulsivo e perciò rappresentazione autocritica dell’ossessiva fotogenia – che spesso permette alla forma di mangiarsi il contenuto – dell’autore stesso. “Usa il tuo dolore”, gli suggerisce la Midge di Scarlett Johansson, ed è proprio ciò che fa Anderson: si mette a nudo, finalmente, all’interno della propria creazione.

Confessare l’allarmante disagio che lo attanaglia sul piano artistico equivale inevitabilmente ad aprirsi anche e soprattutto su quello esistenziale e privato. La paura dell’indefinito e della morte, l’irrequietezza di fronte ai misteri apparentemente irrisolvibili della Creazione – umana, prima ancora che artistica o potremmo dire umana, e di conseguenza artistica -, la difficoltà di elaborare un lutto, l’irrefrenabile angoscia verso ciò che non può essere controllato o semplicemente conosciuto, sono le principali debolezze di un uomo e di un autore che proprio tramite la mania del controllo e la bizzarria della forma ha sempre cercato – evidentemente senza riuscirci – di esorcizzarle.

Emotivamente freddo e distante nella quasi totalità della sua produzione, Anderson trasferisce questo immobilismo anche in Asteroid City, ma la lucida consapevolezza nel farlo investe paradossalmente i personaggi di una carica emozionale disperata e sofferente che non avevano mai avuto, che non solo richiede indulgenza rispetto alla morbosità e alla macchinosità della messa in scena, ma apre ad un nuovo e inedito capitolo della filmografia di un artista che forse adesso è pronto a far esplodere il fuoco incandescente della propria interiorità.

Wes Anderson, autore anti pirandelliano dalle maschere forzate e in cerca di personaggi, firma il suo disperato 8 e 1/2, un grido d'aiuto meta cinematografico con il quale si confessa e si apre a tutte le paure e le incertezze che lo attanagliano, dando inizio ad una nuova personale era creativa e drammaturgica.

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