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GameStop – stessa fine di Blockbuster?

Negli ultimi giorni è girata molto la notizia di un possibile fallimento di Gamestop, noi di Nerdpool abbiamo voluto aspettare un po’ prima di scrivere articoli in merito, in modo da fornire a voi lettori informazioni più complete.

La storia della compagnia.

La GameStop Corporation, nata nel 1984 con il nome di Babbage’s a Dallas (Texas), è diventata negli anni uno dei maggiori rivenditori di prodotti tecnologici.

Partendo dalla vendita di videogiochi nuovi e usati, la compagnia, grazie ad acquisizioni e fusioni è diventata una delle aziende leader del settore informatico, legato prevalentemente al gaming.

Negli ultimi anni era anche riuscita a ritagliarsi una buona fetta di mercato nel campo della telefonia e nell’abbigliamento nerd.

Nel 2011 la compagnia americana è arrivata ad avere un fatturato di 9.55 miliardi di dollari, e ad oggi ha 6.000 punti vendita sparsi in tutto il mondo e con più di 45.000 dipendenti.

Cosa è successo?

Il caso di GameStop è pane quotidiano per tutti quelli che, come me, studiano economia.

L’azienda di distribuzione ha dimostrato una grande capacità di anticipazione del mercato, iniziando in un periodo storico in cui i videogiochi erano ancora in fase di sviluppo, soli due anni prima per esempio era uscita l’Atari 5200, e le sale giochi iniziavano il loro momento di massimo splendore.

Qual è stato allora il vero problema?

A mio avviso le ragioni di questo tracollo finanziario sono da ricercarsi in tre fattori:

  • Poca capacità di innovazione;
  • Incapacità di ascolto del mercato;
  • La guerra di prezzo dei concorrenti.

Ora vi spiego il perché.

Poca capacità di innovazione.

L’avvento di Internet ha portato all’apertura dei mercati, permettendo a chiunque di poter acquistare in pochi click qualsiasi cosa.

Le difficoltà iniziali legate alle truffe e alla difficoltà dei pagamenti sono state presto superate e oggi è possibile trovare qualsiasi cosa online.

Questo GameStop non è stato in grado di capirlo subito, prevedendo uno scoppio della bolla di Internet, cosa che poi in parte è successa, puntando sulla vendita fisica delle copie. I siti che però sono riusciti a sopravvivere sono entrati direttamente in concorrenza con la compagnia americana, che si è vista costretta a correre ai ripari, aprendo il proprio sito di e-commerce relativamente tardi, basti pensare che il sito in Italia è arrivato nel 2009.

Incapacità di ascolto del mercato.

La caratteristica più allettante di GameStop per molte persone, era la possibilità di vendere i propri giochi e console per poterne acquistare di nuovi.

Il problema in questo caso è stato quello di calcare troppo la mano. La differenza tra il prezzo di acquisto del gioco da parte del negozio, e il prezzo al quale lo stesso gioco veniva venduto era troppo grande. Questo ha portato il pubblico a preferire la vendita tramite siti come eBay e altri siti di vendita cliente a cliente.

Le migliaia di memes fatte sono passate inosservati dai capoccia della compagnia.

La guerra di prezzo dei concorrenti.

Diciamocelo chiaramente…GameStop non è mai stato particolarmente economico, ma la sua particolarità è stata quella di essere uno dei primi negozi fisici specializzato in videogame. Prima, infatti, i videogiocatori dovevano comprare in negozi di giocattoli generici.

Da quando però anche le grandi catene di distribuzione come MediaWolrd, Unieuro, eccetera hanno aperto delle sezioni dedicate al gaming, praticando prezzi inferiori, il colosso del gaming ha iniziato a vacillare.

Cosa accadrà ora?

Beh, quasi sicuramente Wall Street non farà crollare così una delle aziende più grandi e con maggiore fatturato nel campo del gaming.

Si parla già di possibili acquisizioni da parte di diverse compagnie, come la Sycamore Partners (una compagnia di investimento, che lavora comprando azioni delle compagnie in fallimento).

Ciò manterrà inalterato il brand, ma porterà dei cambiamenti all’interno della gestione, cosa necessaria visto che l’amministratore delegato, Michael Mauler, si è dimesso dopo soli tre mesi di lavoro.

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