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L’Altra Via, la recensione: un esordio piacevolmente delicato che racconta la claustrofobia di un piccolissimo mondo

Giuseppe Gallo – alla sceneggiatura – e Saverio Cappiello – alla regia e all’esordio – firmano un’opera interessante dai toni soavi che conquista per la delicatezza della messa in scena. Siamo a Catanzaro, alle porte degli anni Novanta, di fronte ad una realtà di provincia dove si incrociano la passione per il calcio e il desiderio di libertà, dove le distese isolate e le discese solitarie sono all’ordine del giorno e diventano il teatro di uno struggente incontro generazionale.

Un ragazzino e un giocatore in procinto di appendere gli scarpini al chiodo, mossi da incertezze e sogni necessariamente differenti, si scoprono complementari al confine delle loro sofferenze: la smania di fuggire dal vuoto in cui sono imprigionati, in fondo, è la stessa, ma da una parte viene affrontata con l’incoscienza e l’ingenuità della scoperta e dall’altra con la rassegnazione della sconfitta.

La semplicità di un incontro

La realizzazione di questo film è caratterizzata da una semplicità che ben si riflette nei valori e nelle emozioni universali trasmesse dallo sport del calcio, regia e sceneggiatura indugiano senza mai osare o spingersi oltre tra le pare(n)t(es)i incontaminate dove si coltivano ma allo stesso tempo si nascondono i sogni. Certo, la scelta di non arrischiarsi troppo indebolisce la struttura e apre ad alcune ingenuità che nella seconda parte si trasformano in forzature, che però sono ampiamente perdonabili in quanto spontanee e non pretestuose.

L’intesa genuina e quasi simbiotica tra Fausto Verginelli e il giovanissimo – come il regista, anche lui esordiente – Giuseppe Pacienza è l’elemento più riuscito e toccante, poiché è in questa spiazzante unione che risiede il senso della storia, e le corde del rapporto tra queste due solitudini risuonano splendidamente in una colonna sonora che non dà il meglio di sé quando ripesca alcune delle canzoni più celebri dell’epoca di riferimento, bensì nei momenti in cui accompagna con i brani strumentali gli immobili e sommessamente liberatori movimenti dei protagonisti.

Saverio Cappiello, partendo dalla sceneggiatura di Giuseppe Gallo, firma un esordio toccante nella sua semplicità, che attraverso uno struggente incontro generazionale racconta l'immobilismo di un piccolo mondo da cui è quasi impossibile uscire.

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