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Mostra del Cinema di Venezia 2023: i film più belli che non hanno vinto

Solitamente il detto “l’importante non è vincere, ma partecipare” assume la forma di una magra consolazione in caso di sconfitta, ma quando si parla di eventi come la Mostra del Cinema di Venezia chiunque metterebbe la firma per far parte della selezione ufficiale anche senza portare a casa la vittoria. Il criterio in base al quale i premi vengono assegnati, inoltre, come abbiamo avuto ulteriormente modo di notare nella cerimonia di quest’anno, la maggior parte delle volte trascende i soli parametri artistici e si allaccia a questioni più ampie di politica culturale.

Poche vittorie sono state del tutto meritate in questa ottantesima edizione, tra cui sicuramente quella di Poor Things di Yorgos Lanthimos come miglior film e quelle di Cailee Spaeny e Peter Sarsgaard per le migliori prestazioni attoriali, eppure abbiamo assistito ad una Mostra ricca di qualità e di proposte innovative che faranno discutere a prescindere dagli esiti della premiazione.

Presentato fuori concorso, Coup De Chance, il nuovo film di Woody Allen, era di per sé impossibilitato a vincere, ma si è rivelato uno dei migliori della Biennale 2023: leggiadro e pieno di geniali intuizioni, primo in lingua francese dell’autore statunitense, rappresenta un ritorno alla sua filmografia più libera e spiazzante. Nonostante le immancabili polemiche sulle accuse attinenti alla vita privata, il pubblico di Venezia lo ha accolto con grande entusiasmo e durante le proiezioni in sala si è percepito quel calore umano che solo un cineasta con la sua storia è capace di generare.

La Bête si presenta come una storia d’amore melodrammatica all’interno di un contesto distopico e fantascientifico, nella quale convivono tutte le ossessioni registiche e autoriali di Bertrand Bonello: onirico e surreale, il film gioca con la realtà e col cinema stesso, tramite le voci e i corpi fuori campo che parlano e compaiono non si sa dove e come, allo stesso modo degli schermi, delle pubblicità e delle icone del computer. Amato dagli spettatori di Venezia e proprio per questo stroncato da una parte della critica. Fidatevi, è un buon segno.

Michel Gondry, Do It Yourself è un emozionante documentario nel quale François Nemeta, amico e collaboratore dello sceneggiatore e regista francese, racconta le gesta di quest’ultimo a partire dagli esordi. L’opera permette al pubblico di entrare nel processo creativo di uno dei più importanti innovatori dell’arte visiva contemporanea, che ha cominciato scrivendo e mettendo in scena videoclip musicali poi divenuti iconici come Around The World dei Daft Punk per spostarsi, dopo diversi successi, nell’ambito cinematografico, dove ha invece realizzato opere impossibili da inquadrare in un genere di cui Eternal Sunshine Of The Spotless Mind è inevitabilmente il simbolo. Insomma, una biografia artistica da non perdere per chi ama il mondo del cinema e soprattutto per chi vuole farne parte.

Rimanendo nell’ambito documentaristico, è praticamente obbligatorio citare Hollywoodgate, il lavoro di Ibrahim Nash’at che racconta il ritorno dei talebani in Afghanistan dopo il ritiro degli Stati Uniti. Il regista è coraggioso nel seguire il ritrovamento da parte della milizia di tutte le armi e l’equipaggiamento lasciato sul posto dalla NATO e la conseguente trasformazione in regime militare tecnologicamente avanzato. Si tratta dunque di storia attuale che sarebbe stata difficile da conoscere da vicino senza il prezioso contributo di Nash’at, il quale dopo la proiezione a Venezia è scoppiato a piangere per l’emozione.

Torniamo ai lungometraggi di finzione e dedichiamoci alla sezione Orizzonti, dove è stato presentato Oura El Jebel (Dietro le montagne) di Mohamed Ben Attia, un film atipico e toccante che forse avrebbe meritato la vittoria. Il protagonista è un uomo appena uscito di galera che, tornato dal figlioletto e dalla moglie, confessa di aver imparato a volare. La famiglia di lei, borghese e conformista, non gli crede, ma lui è disposto a rapire il figlio pur di convincerlo delle sue assurde capacità. Ci troviamo di fronte ad un’opera permeata di slancio vitale che denuncia le convenzioni della società e si apre con liberatoria euforia al superamento dei confini fisici e psicologici.

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