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Perfect Days e la bellezza dell’in-festare

Hirayama, il protagonista di Perfect Days, spiega alla nipote che “il mondo è fatto di tanti mondi”, infatti lui vive apparentemente nel mondo contemporaneo ma in realtà lo in-festa come un fantasma. Lo percorre in una dimensione parallela, ma non ne prende le distanze, anzi lo scruta e lo ammira, ne cerca la bellezza nascosta. Per la maggior parte dei passanti quest’uomo è invisibile, mentre alcuni – pochi – di loro lo salutano, gli sorridono, gli regalano un bacio. Lui però è completamente assuefatto da ciò che ha intorno, dai dettagli e dal mistero, dall’emozione ignota e ambivalente che si cela dietro il lavoro manuale e i rituali inviolabili.

Mentre tutti corrono, si lamentano, vengono consumati dalla frenesia e dall’ansia indossando una mascherina anche da soli all’aperto, Hirayama continua libero a svolgere le proprie mansioni, ad ascoltare musica, a leggere, a fotografare un albero e giocare a tris con uno sconosciuto che resta tale. La sublimazione di questo suo in-festare avviene nel luogo dove talvolta si ferma a cenare, un piccolo bar adiacente alla metropolitana: mentre a pochi metri da lui una massa informe attraversa i tornelli con smania quasi apocalittica, Hirayama si gode il suo bicchiere d’acqua ghiacciata, e poi magari ancora un altro, che sembra uguale, eppure ha di nuovo un diverso sapore.

Analogamente a quanto accade nella diegesi filmica, alla cerimonia degli Oscar 2024 il film di Wenders parte sfavorito rispetto al freddissimo The Zone Of Interest, ennesima seppur molto originale rielaborazione dell’Olocausto, e all’italiano Io Capitano, molto sentito dai connazionali, che desiderano una nuova statuetta da portare in patria. In questa atmosfera smaniosa e frenetica della corsa ai premi, Perfect Days sarà lì, forse non a vincere, ma ad in-festare.

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