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“Roma”: un capolavoro libero e senza tempo come la città che Fellini indaga nell’anima

Dopo aver realizzato alcuni tra i suoi film più ispirati, Federico Fellini decide di raccontare una città che ha sempre percepito vicina alla propria sensibilità umana e artistica. Non a caso, la Roma che l’autore indaga in quest’opera è complessa e impalpabile, terrena, sotterranea e metafisica; Fellini ne coglie insomma l’anima profonda e contraddittoria con l’alternarsi di sequenze apparentemente auto sufficienti dall’ampio respiro, che invece sommate riescono a (non) completarsi, a restituire la frammentarietà sottile di un luogo insieme accogliente e dispersivo.

D’altronde, nel suo libro “Fare un film” ha anche cercato di descriverlo affidandosi soltanto alle parole:

Roma è una città orizzontale, di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma ideale per dei voli fantastici. Gli intellettuali, gli artisti, che vivono sempre in uno stato di frizione fra due dimensioni diverse – la realtà e la fantasia – trovano qui la spinta adatta e liberatoria delle loro attività mentali: con il conforto di un cordone ombelicale che li tiene saldamente attaccati alla concretezza. Giacché Roma è una madre, ed è la madre ideale, perché indifferente.

E’ una madre che ha troppi figli e quindi non può dedicarsi a te, non ti chiede nulla, non si aspetta niente. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai, come il tribunale di Kafka. In questo c’è una saggezza antichissima, africana quasi, preistorica.

La cena in trattoria

Per tradurre in immagini, gesti e parole l’aspetto più straccione e buffonesco di Roma, Fellini mette in scena una cena collettiva in trattoria dove emerge tutta la sua genialità nel gestire inquadrature strabordanti che assorbono un’orchestra infinita di personaggi e comparse. La genuina e viscerale ignoranza che emerge da questo ritratto è a sua volta in parte riscontrabile nella disamina su Roma dell’autobiografia felliniana:

In certi rioni popolari, per dire «Come stai?» ti dicono seriamente: «Hai cagato stamattina?». I primi tempi che stavo a Roma, questa grevezza, questa maleducazione, erano fonte di risate. Per esempio: i commessi dei negozi che ti guardano con fastidio perché sei entrato a disturbare il loro vuoto, la loro inerzia. Oppure: quando chiedi dove sia una strada, i silenzi, la riflessione su quante parole occorrono per fare la risposta. Essi non vogliono essere turbati in questa specie di letargo.

Il viaggio in autostrada

Un altro aspetto fondante di Roma che viene catturato da Fellini con dilatata intensità è quello dell’arrivo al raccordo anulare tramite l’autostrada. Assistiamo, durante un tardo pomeriggio piovoso e spettrale, ad una sequenza magniloquente ed interminabile che inizia con la luce e finisce col buio, al Colosseo. Fumi neri delle fabbriche, un cavallo bianco che transita insieme alle macchine, poi ancora animali morti sulla strada e scontri tra manifestanti politici e polizia: sono frammenti e simboli del sogno lucido di Fellini, sappiamo che sarebbe inutile e spoetizzante interpretarli, eppure lo spirito infernale di Roma è senza dubbio incastonato al loro interno.

Gli scavi per la metropolitana

Proseguendo sulla medesima impronta ed anzi scendendo ancor più nell’abisso, arriviamo alla sequenza sotterranea nella quale diversi operai lavorano agli scavi per la costruzione della metropolitana. Viene subito citata Via dei Cessati Spiriti, strada romana particolarmente cara a Fellini poiché custode di una forte tradizione spiritica – lui, oltremodo curioso, era solito attraversarla a piedi e asseriva di sentire delle misteriose voci lungo il cammino -, e infatti questo è il momento più esoterico, destabilizzante e oscuramente illuminato del film. Durante il tragitto vengono ritrovate alcune importanti opere antiche, che però subiscono danni permanenti a causa dell’influsso dell’aria esterna, e il tempo e lo spazio sembrano sgretolarsi insieme ad esse.

Sappiamo che Roma è una città carica di Storia, ma la sua suggestione sta proprio in un che di preistorico, di primordiale, che appare netto in certe sue prospettive sconfinate e desolate, in certi ruderi che sembrano reperti fossili, ossei, come di scheletri di mammuth.

La sfilata di moda della Chiesa

Torniamo in superficie, in tutti i sensi, con una sequenza che vede (co)protagonista un Papa involgarito e mondano. Davanti ai suoi occhi, si aprono le danze di una surreale sfilata di moda, nella quale diversi personaggi attraversano una passerella con abiti sfarzosi e luccicanti, ostentando la bellezza dell’apparire e accendendo la scintilla poco elevata dell’illusione materiale. Questa visione pone l’accento sul rapporto conflittuale di Fellini con la Chiesa che già nel contesto de La Dolce Vita usciva fuori con prepotenza a tal punto da venire fraintesa: il suo attacco al dogmatismo materialista cattolico non preclude infatti un grande attaccamento verso (quel)la religione e più in generale verso la spiritualità, che invece rappresentano a pieno la sua postura di riflessione e vitalità artistica.

Ne viene fuori un’atmosfera di un minestrone che sta cuocendo: un’atmosfera incoraggiata dalla Chiesa, l’unica responsabile di questo tipo di italiano, inchiodato a un infantilismo cronico. Una condizione, del resto, che a Roma viene addirittura esaltata. Infatti: in qualunque altra città, un soldato, per esempio, è un soldato. A Roma no: qui li chiamano «pori fii de mamma». Ecco: si rimane sempre figli di mamma e la mamma è la Madonna, o la Chiesa.

Fellini e la grande libertà

A un certo punto del film, verso l’inizio, un gruppo di giovani si raduna attorno a Fellini, chiedendogli se sarà in grado di rappresentare le problematiche sociali e politiche di Roma. Lui risponde sorridendo: “Io credo che si deve fare solo ciò che ti è congeniale”. A Fellini non interessa suonare attuale, anche perché esserlo – soprattutto pensando all’attuale concezione dell’essere attuale – non gli piacerebbe. Il cinema di Fellini è senza tempo, ma è allo stesso tempo magnificamente dissonante rispetto ad un cinema che ha dimenticato quasi del tutto la propria essenza libera, sognata, sussurrata, spirituale.

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