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Indiana Jones trova Il Sol Dell’Avvenire: un cinema che ha generato e (si) rigenera nell’utopia (a)temporale

Indiana Jones è da poche settimane tornato al cinema con un inedito quinto capitolo che si pone in continuità con le precedenti avventure dell’iconico personaggio interpretato da Harrison Ford. Seppure apparentemente azzardato, possiamo tracciare un parallelismo tra questo film e Il Sol Dell’Avvenire, la nuova controversa opera di Nanni Moretti. Entrambi i lavori, infatti, suggeriscono un ritorno al passato, consapevole e (auto)citazionista, apparentemente egoriferito ma in realtà aperto ed empatico, una nostalgia generatrice che rifiuta l’accezione cronologica di futuro, attraversa il presente e rielabora il passato per creare una nuova possibilità.

Andiamo con ordine e cominciamo ad analizzare il nucleo di entrambe le pellicole: Indiana Jones 5 gioca volontariamente con i topoi narrativi ed estetici dell’intera saga, rimescolando gli ingredienti già conosciuti dal grande pubblico in un calderone avvincente di azione e avventura, che appare come una prospettiva inedita di rappresentazione piuttosto che come un pigro tentativo di replicare qualcosa di già visto. Il Sol Dell’Avvenire, dal suo canto, poggia su una struttura meta filmica a matrioska che riutilizza tutto il suo bagaglio di fissazioni e battute storiche per generare un Nanni/Giovanni nuovo e spiazzante nella sua leggiadra, ritrovata poesia.

Entrambe le opere sono inoltre accomunate dalla scelta di rivisitare il passato, in un appuntamento con la Storia tanto azzardato e intrepido da riuscire paradossalmente – e quindi cinematograficamente – a cambiarla.
La trama del quinto capitolo di Indiana Jones è basata sul ritrovamento della Macchina di Anticitera, un reale congegno datato tra il 150 e il 100 a.C, conosciuto come il più antico calcolatore meccanico. Classificato tra gli “oggetti fuori dal tempo”, l’enigmatico meccanismo è tuttora studiato per comprenderne le straordinarie funzioni e la sua invenzione nella diegesi viene attribuita ad Archimede. Indy, tramite le coordinate della Macchina, si trova a viaggiare nel tempo, tornando all’Assedio di Siracusa dove incontra proprio il geniale matematico.

Indiana Jones 5 è un tuffo nella Storia, quella dell’umanità ma soprattutto quella del cinema e della sua magia. Il viaggio nel tempo – espediente ormai strumentalizzato ovunque, insieme al concetto di multiverso – assume qui un carattere meta filmico: la magia scientifica che conduce i protagonisti nel passato è la stessa che abbatte la quarta parete e accompagna lo spettatore alla riscoperta di un cinema che ha generato e adesso, consapevolmente, (si) rigenera. Persino il ringiovanimento digitale di Harrison Ford nella sequenza di apertura spinge nella medesima direzione, si configura come un salto all’indietro che apre ad una prospettiva inedita, ad una nuova storia, invece di accontentarsi o pigramente ristagnare nelle acque del già visto.

Ne Il Sol Dell’Avvenire, l’appuntamento con la Storia coincide con quella che è identificata da Nanni Moretti come una cruciale svolta della politica italiana: l’inizio della discesa vertiginosa del Partito Comunista, in seguito all’appoggio dell’invasione sovietica in Ungheria. Nanni, sdoppiandosi nell’alter ego di un regista che sta girando un film sull’accaduto, prova ad intercettare le impercettibili ma significative ragioni di questo mancato cambiamento.
Ciò che torna nell’opera di Moretti è tuttavia anche il passato del suo cinema e della sua visione del mondo esterno, rappresentata attraverso le idiosincrasie e le manie fisiche e verbali che lo hanno sempre contraddistinto.

La ripetizione quasi ossessiva di tutte le proprie intolleranze è però funzionale ad una parziale liberazione dalla smania capitalistica di futuro e dalla totale intransigenza moralista da cui, oggi più che mai, esce miseramente sconfitto. Invece di cullarsi nella sicurezza dei leitmotiv tanto amati dagli storici ammiratori, l’autore romano li utilizza qui in senso autocritico per mettersi in ascolto degli altri e compiere un piccolo ma decisivo spostamento verso un’accettazione che appare come una nuova consapevolezza, pur senza rinunciare alla sua inconfondibile postura critica e sovversiva.

Nello sviluppo narrativo del film, Nanni arricchisce ulteriormente la magia di questa sottile trasformazione, decide di fare la Storia con i se immaginando, nella vitalità di una parata onirica e surreale, un passato alternativo nel quale il Partito si ribella alla mossa dell’unione Sovietica e modifica così inevitabilmente il corso degli eventi. Allo stesso modo di Indiana Jones, dunque, non ci troviamo di fronte ad una nostalgia letargica e chiusa in se stessa, bensì assistiamo ad un “meccanismo” inedito che tramite l’utopia (a)temporale reinventa la Storia per liberarsi della gravosità del tempo cronologico e danzare con leggiadria sul presente (ir)reale della vita e del cinema.

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